Nella società moderna il ruolo degli animali da compagnia è diventato centrale rispetto al passato e l’animale è sempre di più presente nella vita dell’uomo: ne è testimonianza l’aumento quasi logaritmico di animali come gatti, cani, pesci, uccellini ed altri ancora che, a diverso titolo, sono entrati a far parte dei nostri nuclei familiari. Numerosi ricercatori hanno impegnato molta parte del proprio lavoro a studiare l’impatto degli animali da compagnia sulla vita dei bambini (Beck & Katcher ; Cain ; Condoret ; Fox ; Fraser ; Levinson ; Mallon ; Melson ; Ross ; Smith ).
Molti di questi studi indicano che gli animali giocano un ruolo estremamente importante nella socializzazione e nella vita del bambino in genere, al punto da costituire una vera e propria diade, cioè una biunivocità dei concetti. Spesso la presenza di un “pet”, soprattutto nelle prime fasi della vita umana, può contribuire ad influenzare la “formazione delle impressioni”, come atteggiamenti ed emozioni nei confronti di persone accompagnate da animali rispetto ad altre che non lo sono.
I meccanismi psicologici su cui si fonda tale ipotesi sarebbero basati soprattutto sulle sensazioni di familiarità, somiglianza ed apprendimento collegate all’animale, che possono determinare una sorta di empatia con lui e con tutto ciò che vi è associato. Il rapporto che si stabilisce tra i due è fondato sull’affetto senza ambivalenza, un’intima affinità e un’indiscussa solidarietà. Beck & Katcher hanno affermato che nella prima fase di crescita del bambino, l’animale acquista alcune caratteristiche della madre ideale: ama in modo incondizionato, è devoto, attento, leale, comprensivo, non giudica e non punisce i suoi errori. Insomma tutti elementi che caratterizzano la relazione simbiotica primaria con la madre (Erickson ).
Tuttavia, quando il bambino comincia a diventare adulto, il processo di separazione dalla madre, legato alla nascita della propria individualità, produce un senso di ansia da separazione che l’animale riesce a far superare rendendolo consapevole dell’evoluzione appena compiuta (Perin ).
E qui apro una breve parentesi per spiegare che non dobbiamo commettere il grave errore, che spesso purtroppo facciamo, di considerare il proprio amico a quattro zampe, un uomo, perché ciò significherebbe decretarne la sua morte; parimenti considerarlo un oggetto comporta la stessa identica fine. In effetti gli adulti tendono ad attribuire delle caratteristiche umane agli animali, mentre i ragazzi, invertendo il processo, attribuiscono qualità umane agli animali. L’antropomorfizzazione e l’oggettualizzazione rappresentano i rischi maggiori per la vita sana dell’animale, ma anche per il suo compagno umano i rischi sono concreti: i rischi di perdere la possibilità di vivere un’esperienza unica, di grande arricchimento emotivo, culturale ed affettivo che solo da un rapporto di reciproco rispetto e considerazione, può provenire. Molte persone considerano il proprio animale come un membro effettivo della famiglia, includendo addirittura le sue foto nell’album di famiglia, così come dimostra un’indagine condotta da Cain & Ruby , secondo cui su 60 famiglie intervistate l’87% riteneva l’animale un componente del nucleo familiare: “family members not only interact with their pets in their own characteristic manner, but they also interact with each other in relationship to the pet”.
“Affinché la relazione sia costruttiva” ha commentato il Dottor Valerio Jarussi, veterinario perfezionato in etologia “è necessario che essa sia alimentata e sostenuta da una capacità di comunicazione reciproca e che tra l’uomo e l’animale il dialogo è possibile solo se il primo capisce che non deve essere lui ad insegnare all’animale una sintassi antropomorfa, ma deve sforzarsi di decodificare i suoi segnali e i suoi codici.”
In particolare per quanto riguarda il rapporto uomo-cane, una diade che per mantenersi viva, deve essere dinamica, evolutiva, deve esprimere un rapporto dove, nel rispetto delle singole specificità, dove la vita possa fluire liberamente poiché liberamente scelta. Non dimentichiamo che l’elemento fondante la sana vita psichica di ognuno di noi è il movimento, regolarmente svolto nell’arco della vita, espresso dall’energia prodotta da questo.
Ma ritorniamo ad analizzare più attentamente il rapporto cane – bambino. Un cucciolo separato dalla madre ha in comune con il bambino la dipendenza dall’adulto per la sua sopravvivenza nei primissimi mesi di vita. Ma se il “cucciolo d’uomo”, per l’evoluzione della propria specie, sarà destinato a mantenere a lungo la propria dipendenza dai genitori, il compagno cane, con la sua autonomia e per un ciclo di vita più breve, preme perché il cucciolo di uomo si appropri al più presto della sua indipendenza. Avere un figlio e adottare per lui un cane è un impegno estremamente complesso e faticoso, ma alla lunga un’esperienza di grande arricchimento emotivo.
Il bambino che cresce con un cane assumerà nella relazione, via via che il cane cresce con lui, ruoli diversi, cimentandosi ad essere genitore quando il cane sarà piccolo e bisognoso di cure, coetaneo nell’infanzia di entrambi; figlio nell’essere presente alla sessualità adulta nella procreazione dell’animale e nelle cure rivolte ad esso nella inesorabile decadenza della vecchiaia.
La separazione dovuta alla morte del cane, infine, pur rimanendo un evento dolorosamente luttuoso nell’esperienza vitale del bambino, preludio di altri distacchi e separazioni nel corso della vita di questi, rappresenta un importante banco di prova. Nella realtà triste di questo evento, più di tutti gli altri vissuti con il proprio cane, il bambino imparerà ad affrontare, nel suo piccolo immenso dolore, le prove grandi che la vita gli presenterà. Imparerà ad accettare da questa sia la ricchezza emozionale della gioia quanto quella formativa del dolore, legato all’essenza della vita stessa, quando è vissuta pienamente. Indifferentemente dal fatto che “l’amico” sia stato presente per lungo tempo nella vita del suo padroncino, la sua perdita lo introduce ad un concetto assai delicato, che spesso i genitori non sanno affrontare nel giusto modo. Già intorno ai 5 – 7 anni i bambini sono in grado di comprendere che la morte è uno stato irreversibile che comporta la cessazione di tutte le funzioni vitali; che la morte è una tappa inevitabile per ognuno di noi. Allora è inutile nascondersi dietro i classici eufemismi: “E’ andato a vivere da un’altra parte” “E’ fuggito” “E’ andato a dormire”, e così via dicendo. Sarebbe invece più corretto educare fin da piccoli i bambini a comprendere questo concetto, per quanto doloroso, dandogli delle risposte più semplici possibili.
Ogni età del bambino può essere arricchita dalla presenza di un cane, proprio per le infinite sfumature di significato che questo può assumere per lui, in ogni fase della sua crescita. Addirittura, a volte, la presenza costante di un cane accanto ad un bambino può essere meno pericolosa di quella di un genitore onnipresente e iperprotettivo.
Nella primissima infanzia, il “cucciolo d’uomo” e il cucciolo di cane, nella similarità dei loro bisogni, vagano carponi. Quando il bambino è piccolissimo spesso gioca ripetutamente al lancio degli oggetti cercando di padroneggiare con ciò, nella scomparsa e nella susseguente riapparizione di questi, il concetto dell’assenza. E’ questa una delle prime acquisizioni simboliche. Al posto della madre c’è l’idea di questa, che a volte è presente, a volte no, a seconda delle esigenze lavorative o di fortuite della realtà. Questo gioco ritmico di cui il bambino prende possesso, ha il significato di fargli controllare, l’immagine stabile della madre, anche quando non c’è: se qualcosa scompare alla vista, prima o poi ritorna sempre. E’ un gioco di costruzioni interne di speranze e aspettative certe, affidate ad un oggetto simbolico, che sta al posto di un altro più importante a livello vitale. Spesso l’adulto non capisce questo gioco e si stanca di raccogliere gli oggetti; così, quando è possibile, li lega ad un filo perché tirandolo il bambino possa riprenderseli. Nel cane, invece, vi è il codice della caccia, relativo al comportamento adattivo per la sua sopravvivenza, fissato nel gioco del lancio di un oggetto, che il cane quasi sempre si appresta a recuperare. Non a caso è uno dei primi giochi sfruttati negli addestramenti praticati con i cuccioli, che hanno anche loro un periodo di estrema permeabilità all’apprendimento, passato il quale rimane più difficile educarli. Cucciolo d’uomo e cucciolo di cane, si trovano in questo stadio, su un livello di comunicazione analoga, complementare. Il bambino ha bisogno di lanciare oggetti, ma non è in sempre in grado di poterli recuperare. Il cane ha bisogno di imparare ad afferrare un oggetto in movimento, in base all’istinto innato di recupero della preda. Allora entrambi hanno bisogno, per cimentarsi in queste attività importanti a livello cognitivo, pur nella diversità di specie, di qualcuno che avvii e mantenga la relazione. In questo caso si compensano l’un l’altro, nasce un rapporto di complementarità. Se un cane gioca con un bambino piccolo che continuamente gli getta dal seggiolone la sua pallina o gliela butta lontano quando cammina a gattone, il loro rinforzo sarà reciproco e dettato solo dalla voglia di giocare assieme. L’andare ed il tornare indietro gioioso del cane renderà il bambino padrone del senso dell’assenza, a cui seguirà sempre una festosa presenza, al posto di un adulto stanco di raccogliere continuamente lo stesso oggetto. Un bambino cambia e varia un gioco spontaneamente perché, oltre alla voglia di esercitarsi in un’abilità, ha anche voglia di esplorare, proprio per i processi cognitivi di assimilazione e di accomodamento degli schemi operativi di questo periodo di crescita. Anche il cane, d’altro canto, ha voglia di imparare. Non c’è nessuna volontà cosciente nelle regole del gioco che il bambino propone e il cane apprende, ma solo il loro grande divertito affiatamento. Infatti il cane anticipa le traiettorie degli oggetti caduti e nascosti momentaneamente alla vista, grazie al comportamento di stanamento della preda, che nei cuccioli ha ancora una valenza di gioco. Spesso i bambini che sanno già camminare si trascinano dietro un giocattolo legato ad una cordicella. E’ come se, di fronte all’emozione della scoperta capacità di camminare, sopraggiungesse la consapevolezza di essere separati, soli.
Il gioco, ancora una volta, rappresenta una simbolizzazione di uno stato d’animo, una specie di compromesso tra l’essere indipendenti, il camminare e il rimanere in qualche modo legati. E’ l’identificazione proiettiva della propria separazione dalla madre. Il bambino, desiderando mantenere il legame precedente che aveva con lei, trascina un oggetto al cui capo estremo sta attaccato egli stesso. Anche il cane si porta al guinzaglio ma, a differenza dei suoi giocattoli, è vivo. Tira la fune, punta le zampe quando non vuol camminare, segue il padrone, corre in avanti oltrepassandolo, costringendolo ad allungare il passo. Questo esser vivo del cane, che non è un oggetto inerte che sta sempre solo dietro o che si lancia pesantemente a volte in avanti, ma che spesso precede e si allontana, proietta nel bambino l’immagine di un’altra possibilità: quella dell’esplorazione e dell’autonomia. Se casualmente lascia andare il guinzaglio, o l’animale lo strappa di mano al bambino, il cane corre in avanti libero, felice, salta e torna indietro scodinzolando per essere stato liberato. Invita, con il suo andirivieni, alla corsa, al gioco, alla competizione. Con questo suo andare e tornare, toglie al bambino la paura del distacco. La corda invisibile che lo lega all’immagine della madre, diventa un lungo elastico che, flettendosi sempre di più, a poco a poco si spezza. Separazione senza guinzaglio non è abbandono ma cambiamento; è camminare a fianco, andare avanti, poter tornare indietro, rincorrersi, afferrarsi, non perdersi.
Esperti terapisti infantili sostengono che gli oggetti inanimati, come le bambole, gli arnesi di terracotta, la plastilina, i dipinti realizzati di proprio pugno dai bambini stessi non sono molto amati. Esse sono cose non vive: non crescono, non mangiano, non rispondono, non devono essere curati, custoditi e nutriti. E i bambini, intuitivamente, capiscono che non c’è possibilità di instaurare con loro un rapporto. Il cane, invece, è vivo, richiede cure e attenzioni particolari, deve essere medicato, fatto giocare e amato. Diversamente dalla reazione verso le bambole, il bambino concepisce l’animale come parte integrante di se stesso e della sua famiglia. Il cane, infatti, svolge pienamente la sua funzione di elemento transizionale, legandosi affettivamente al bambino e avverte continue certezze e rassicurazioni che gli permettono di spingersi, fisicamente e mentalmente avanti, di andare oltre, rassicurandosi, esorcizzando la paura dell’ignoto, rinforzando il suo Io con la certezza della presenza dell’altro. I rischi che l’elemento transizionale si trasformi in feticcio affettivo sono nulli proprio per le caratteristiche di continua dinamicità e movimento. Sandra Triebenbacher , della East Carolina University, ha osservato come molti bambini scelgono proprio il cane, tra tutti gli altri, come l’oggetto transizionale in grado di fornire loro conforto, sicurezza e supporto emotivo. Children that interact with their pets in much the same way they do with transitional objects: rubbing, stroking, cuddling and kissing.
Il bambino ed il cane vivono la loro separazione-individuazione insieme, in un gioco degli specchi ove la loro immagine viene rimandata rovesciata e deformata, proposta al confronto e alla verifica del proprio giudizio e del giudizio dell’altro. Più semplice e rapido nel cane, questo processo è invece più doloroso ed esaltante (ma pieno di incognite) nel bambino.
I ruoli che ciascuno svolge all’interno del contesto di vita sono delineati già nelle posizioni assunte da entrambi nello spazio. Anche se il bambino a volte scende a quattro zampe e il cane si alza sulle due zampe posteriori, è solo una situazione momentanea, è una regressione che rende flessibili i ruoli nell’interazione, ma entrambi sono consapevoli sempre delle regole: è solo un gioco in cui ciascuno fa finta che... E’ la diversità dei contesti, dell’espletamento delle funzioni vitali e le loro modalità di esecuzione che sottolineano le differenze e allontanano il pericolo di confusioni d’identità nel bambino.
Il bambino, anche piccolissimo, riconosce nel cane l’elemento percettivo della coda, come attributo inconfondibile di diversità. E’ divertito quando vede il cane usare la zampa come mano nell’aprire le porte o porgerla come un saluto. Ciò significa che il bambino è consapevole della coda come segno dell’animalità del cane e della mano come attributo della propria specie, anche quando ancora non sa di appartenere alla specie degli umani. Li distinguono, inoltre, le manifestazioni delle emozioni attraverso gli schemi comportamentali corrispondenti che entrambi sanno interpretare e riconoscere; ma il bambino presto si accorge che il cane, anche se scodinzola di gioia, non potrà mai sorridere.
Anche le leggi legate ai rituali alimentari, escretori e i cicli di veglia e sonno, segnano per entrambi le regole degli imperativi della realtà sociale a cui devono tutte e due rispondere e che per la loro diversità li aiutano a contraddistinguersi. La formazione del super-Io nel bambino passa attraverso queste fasi, negli atti legati alle funzioni vitali. Ciascuno dei due, se vuole vivere bene nel contesto sociale che li accoglie, deve introdurre queste abilità nel modo, nel luogo e nel momento opportuno che viene loro richiesto. La paura di perdere l’amore dell’oggetto da cui dipendono, a causa delle disobbedienze e dei piccoli incidenti di percorso, sono comuni. Piuttosto la differenza sta nel fatto che il cane non è a conoscenza del fatto che se non si adegua alle leggi della convivenza con gli umani potrà essere abbandonato; mentre il bambino non sa, che se non si adegua presto, non sarà, per questo, abbandonato. I cani a volte mostrano una certa consapevolezza quando commettono una disobbedienza: abbassano la coda e le orecchie, strisciano a pancia a terra come per scusarsi, intuendo quale triste destino potrebbe piombargli addosso. Il bambino invece è più indifeso perché nessuna rassicurazione d’amore da parte dei suoi genitori può distoglierlo dal terrore irreale di perdere l’amore dell’oggetto. La tolleranza per il cane, può fungere allora da rassicurazione indiretta per il bambino, se nel corso dell’educazione ci sono dei piccoli incidenti.
Il cane, che è già adulto quando il cucciolo di uomo è divenuto bambino o ragazzo, con la sua sessualità permette al ragazzo, di riflesso, l’accoglimento e l’accettazione della sessualità dei genitori, oltre alla nascita di eventuali fratelli. Con la maturazione sessuale del proprio cane il bambino sarà chiamato ad assumere il ruolo di adulto responsabile della salute degli eventuali cuccioli. La speranza di divenire presto adulti sembrerà più vicina e meno irreale alla psiche del bambino vedendo il proprio cane divenire adulto nel pieno senso della parola, più che guardando i propri genitori.
L’impercettibile trascorrere del tempo, per un bambino, è ancora una sensazione soggettiva e la lontananza generazionale dei genitori appare incolmabile. Il problema, forse, sarà più per il cane, combattuto tra due amori: la lealtà per il suo piccolo amico rimasto indietro e la cagnolina della porta accanto. Ma per fortuna, per il suo piccolo amico, c’è la scuola, i coetanei, i compiti e la televisione, che salvano il cane da un amore troppo dipendente. Lo svolgersi delle tappe sociali dell’uno preme per la realizzazione di quelle dell’altro. Tutto questo, nell’eventualità che il bambino cresca fin da piccolissimo con un cane.
Uno dei momenti migliori per l’adozione di un cane è proprio in concomitanza della nascita di un fratello. Il senso d’esclusione, che il bambino prova in questo frangente, è compensato dall’investimento affettivo riversato su di un cucciolo. Il cane diventa specchio per le identificazioni del bambino: allevando un cucciolo, questi gioca a fare la parte del genitore, ora impegnato con un altro bambino. Il cagnolino diventa la proiezione di se stesso, con l’appagamento, attraverso di esso, delle richieste d’affetto che invece vorrebbe per sé. Inizia così, ribadendo quanto già detto, quel gioco di specchi e di identificazione che non si conclude però nell’annullamento di se stessi nel modello dell’altro. Fogle , accordando con la teoria di Beck & Katcher, notò come alcuni bambini di tre anni inconsciamente vedevano nel proprio animale la riflessione di se stessi: essi trattavano i loro animali allo stesso modo in cui avrebbero voluto essere trattati dai propri genitori. Questo processo è quello che Desmond Morris ha definito “parentalismo infantile”.
Nel caso delle bambine, poi, si assiste ad una protezione tesa ad essere per il cane ciò che la madre ha costituito per lei, incarnando quindi la figura materna. In casi estremi si è arrivati al punto che alcuni bambini si erano talmente identificati nel proprio animale che avevano alienato la propria personalità. E’ il caso del bambino di 7 anni di cui ci parla Kupferman . Questi si era identificato nel proprio gatto a tal punto che quando parlava con lo psicanalista miagolava: “A case of a seven-yer-old boy whose ego development was so faulty that he took on the identity of a cat and meowed to his psychiatrist”.
Attraverso i cambiamenti dell’età del cane il bambino si accorgerà che le cure dei genitori rivolte al fratellino non lo escludono dal loro amore, ma che il rapporto con loro cambia, come cambia il suo con quello del cane. Capirà che ogni età della vita esige un modo diverso di dare e ricevere amore, e che non è stato mai abbandonato, così come lui non ha mai abbandonato il suo cane.
Le emozioni tattili che un cucciolo è in grado di offrire sono legate alle sensazioni di calore, morbidezza e alle posture che questo assume. Quando è preso in braccio, il cane, come un bambino allattato al seno, si accomoda tremante, nascondendosi e rannicchiandosi nelle pieghe del corpo del suo padrone. Cercando a sua volta il sostituto della propria madre, stimola nel ragazzo sentimenti di protezione che gli infonderanno sicurezza in se stesso e nelle proprie capacità. Tutto questo nel momento stesso in cui il ragazzo è più bisognoso d’affetto da parte di chi ama. Da protetto, il cane diventa per il ragazzo il suo fedele custode e quindi protettore. Se il cane dapprima dava sicurezza al ragazzo, per il senso di protezione che infondeva, la sicurezza che il cane dà ora al ragazzo ha una sfumatura diversa. Le parti si sono invertite ed il cane è il difensore di tutti i nemici dell’immaginario del ragazzo. E’ l’interlocutore fidato, il compagno senza parola che custodisce i suoi segreti, l’alleato fedele senza paura che lo accompagna nelle avventure esplorative.
Ma portare il cane a spasso è anche un modo di attirare l’attenzione dei propri coetanei, è un’occasione per farsi degli amici. Il cane è quel magnifico trofeo da mostrare per essere invidiati, anche grazie al rapporto privilegiato che questi ha con lui. L’aggressività del ragazzo si sposta, nell’immaginario, sul cane, con la fantasia che questo potrà attaccare chiunque gli faccia del male. La fantasia d’avere il potere di comandare il cane s’accompagna all’intima soddisfazione di essere clementi, e di richiamarlo dopo che il nemico, che questo ha aggredito per difenderlo, ha scongiurato umilmente il perdono.
La possibilità di attirare l’attenzione dei suoi coetanei, attraverso il suo cane, distoglie ancora di più il ragazzo dagli invischiamenti nei confronti dei rapporti con i genitori, proiettandolo verso la generazione della sua età, con cui sarà destinato a vivere gran parte della sua vita, una volta diventato adulto. Infine, uno dei regali più belli che un cane divenuto grande fa al suo padrone rimasto piccolo, è che, anche se è cresciuto ed è diventato un adulto, non disimpara a giocare. Questo lo accompagna ancora alle soglie della fine della sua infanzia, che segnano invece l’inizio della propria decadenza. L’identificazione, l’empatia, la proiezione sul cane di parti di sé, specie quelle cattive, nella animalità di questo, fanno da filtro proiettivo al bambino mentre cresce. La possibilità del cucciolo di uomo di svolgere ruoli diversi, che il cane gli rimanda attraverso le tappe del suo ciclo vitale, rende flessibile la sua capacità di adattamento, in vista del più importante gioco della vita.
Questo esercizio è vitale, se si pensa che le patologie più gravi degli adulti spesso dipendono dalla rigidità d’assunzione di ruoli o dall’incapacità di passare velocemente da un ruolo all’altro, all’interno di contesti vari, ma contemporanei nel tempo.
Attraverso il cane passa anche la relazione dell’adulto con il bambino, di cui l’animale è tramite e mediatore. L’adulto, offrendosi come supporto necessario ed indispensabile alla diade cane-bambino, potrà imparare a sua volta a fare il genitore, potrà spiegare meglio al bambino valori come la libertà, l’amore, il coraggio, il senso dell’onestà, la ricerca della conoscenza, il rispetto degli altri e di sé stesso, il concetto della vita e della morte; potrà spiegare meglio la necessità di non sprecare mai neppure una briciola del tempo che ci è stato assegnato; potrà spiegare meglio a vivere pienamente senza accontentarsi dell’elemosina degli eventi, serenamente, senza fermarsi, a non aver paura della solitudine, a stimarsi ma senza esaltarsi, a vivere il pericolo; potrà, in sostanza, spiegare meglio la vita, letta nel riflesso umido degli occhi di un cane.
Insomma, per migliorare la qualità della vita occorre cominciare da subito, fin da bambini: vale a dire che l’educazione, per sortire il suo effetto, deve avere come base fiducia e affetti attendibili. L’animale offre al bambino che cresce qualcosa di tutto ciò, compresa l’abitudine alla disciplina, forse più di quanto spesso possano fare i genitori. L’animale non è affaccendato, ma aspetta il suo padroncino fedele e fiducioso, non chiede di compiacere fantasie e aspettative inaccessibili, ma lo ama per ciò che lui è, felice solo di averlo vicino e conferendogli così il senso di valere per se stesso ma anche di essere, per qualcun altro, il primo pensiero.
Come ha più volte sostenuto Danilo Mainardi, vivendo a contatto con un cane, il bambino impara anche e soprattutto quali sono le necessità degli altri esseri viventi, comincia ad avere cura di qualcuno che non sia se stesso, uscendo dal suo naturale egocentrismo. L’animale, infatti, ha delle esigenze diverse da quelle del bambino: non sempre, infatti, il cibo adatto per il bambino è indicato anche per il suo amico. E sono proprio questi elementi che, messi insieme, aiutano il bambino a fargli scoprire la diversità e a fargliela rispettare.
E’ fondamentale, però, scegliere l’animale giusto e regalarglielo quando avrà raggiunto l’età indicata per occuparsene in modo adeguato. Il momento migliore è verso i 6 anni, quando inizia la fase scolastica. A quest’età è già in grado di occuparsi di piccole incombenze, come riempirgli la ciotola d’acqua o di cibo, spazzolarlo, portarlo a spasso se ovviamente non è di taglia eccessivamente grande. Qualsiasi animale è indicato: a partire dal pesciolino rosso, al canarino, al gatto, al cane, ecc. Anche l’acquario costituisce una valida alternativa per mettere il bambino a contatto con la natura, nonché fornirgli un ottimo meccanismo proiettivo e contribuire così a risolvere i suoi conflitti interni.
Secondo alcuni studi, infatti, i pesci che nuotano in un acquario hanno un potere quasi ipnotico e tranquillizzante: osservare il movimento delle pinne durante il nuoto distrae dai propri pensieri e aiuta i più piccoli a costruire le proprie fantasie. Il piccolo può così osservare non solo il loro movimento, ma anche i rapporti tra di essi, come la difesa per il territorio, il corteggiamento, lo spostamento di animali che a prima vista sembrano immobili, come le stelle marine, i ricci , ecc. Cambiare l’acqua al pesciolino o riempire la vaschetta del canarino di semi stimola nei bambini il senso di cura verso gli altri esseri viventi.
Tuttavia, tra tutti gli animali domestici, quello maggiormente consigliato per questo tipo di “terapia preventiva” è il cane: è più socievole e paziente di un gatto o di un uccellino; il bambino può avvicinarglisi tranquillamente senza che per questo si irriti o temere da lui scatti di reazione improvvise. Inoltre il cane può seguire il bambino in tutti i suoi spostamenti, correre e giocare con lui senza annoiarsi o farlo annoiare. E quando il bambino è eccessivamente piccolo, può assumere nei suoi confronti un atteggiamento protettivo, pronto a dare l’allarme al primo segno di pericolo.
Per quanto riguarda le tipologie di cane, sono preferiti alcuni cani da caccia, come i setter, i pointer, i golden retrevier o i labrador e i cani da pastore, come il pastore tedesco o il pastore bergamasco. Queste razze, infatti, sono state selezionate proprio per aver cura dell’uomo e quindi più docili e maggiormente adatte a condividere la loro vita con un uomo. Non per questo si devono declassare i bastardini, che anzi, spesso si sono dimostrati più affettuosi.
L’identikit del cane ideale, da utilizzarsi in pet therapy, ovvero quello che è adatto al grosso pubblico, è il seguente: media mole (un soggetto troppo piccolo non dà sufficiente sicurezza, viceversa uno troppo grande rappresenta talvolta un ingombro eccessivo); dall’aspetto piacevole (che possa essere ammirato ma nello stesso tempo che incuta una certa soggezione); dal carattere affettuoso, dipendente e non particolarmente aggressivo (un cane troppo duro e aggressivo è difficile da gestire e complicherebbe i rapporti umani fino al limite estremo della tragedia!)
Non bisogna mai dimenticare, però, che il rapporto cane-bambino non sempre è idilliaco, per cui è dovere dei genitori avviare e controllare questo rapporto. Innanzi tutto è preferibile che il cane sia cucciolo, in modo che il bambino si senta portato a proteggerlo e ad avere cura di lui con maggiore attenzione. Giorno dopo giorno i genitori dovranno insegnare al bambino cosa l’animale può fare con lui e cosa no. Impedire, ad esempio, per motivi puramente igienici, di fare il bagno con lui, di dormire nello stesso letto; spiegargli che mentre fido mangia o dorme non bisogna disturbarlo.
D’altro canto anche il bambino dev’essere posto in condizioni tali da accettare i lati più istintivi del suo fedele compagno di giochi: spesso capita che il cane o il gatto offrano al loro padroncino una specie di “regalo”, in segno di affetto: un uccellino che hanno catturato e ucciso. Se il bambino non ha chiaro questo concetto, perché non gli è stato spiegato o non lo ha appreso correttamente, corre il rischio di spaventarsi e perfino di rifiutare la sua amicizia. Solo quando i due raggiungeranno un giusto equilibrio e comprenderanno la giusta dimensione dei propri spazi, si potrà raggiungere un ottimo rapporto fondato sul reciproco rispetto.
Fonte: Ciao.Pet.com
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